L’uva da tavola italiana è promossa

uva da tavola
A settembre e ottobre si ripete l’iniziativa di promozione e comunicazione collettiva “generica” a favore dell’uva da tavola italiana, promossa dall’organizzazione interprofessionale del settore ortofrutticolo, Ortofrutta Italia, con il patrocinio del ministero delle Politiche agricole e alimentari

Parte la campagna di promozione collettiva a favore dell’uva da tavola italiana, che vedrà l’adesione di migliaia di punti vendita delle principali catene della grande distribuzione, nonché di negozi specializzati e di “prossimità”, coinvolti nell’iniziativa tramite gli operatori grossisti dei mercati agroalimentari.

La campagna si svolgerà a settembre e ottobre per almeno una settimana in ogni punto vendita che aderisce all’iniziativa e vede la partecipazione dell’intero comparto dell’uva da tavola nazionale - un prodotto molto importante per l’economia agricola nazionale e del sud Italia in particolare. L’obiettivo dell’iniziativa, è quello di dare un segnale importante ai consumatori italiani sui fondamentali di valorizzazione del prodotto e di stimolo al suo consumo, attraverso materiale di comunicazione che riporti il layout istituzionale di Ortofrutta Italia, proprio nel periodo di maggiore potenziale qualitativo, focalizzando la provenienza della comunicazione nell’Organizzazione Interprofessionale (quindi tutta la filiera) e nel Mipaaf (la Pubblica amministrazione competente).

Le produzioni italiane di uva da tavola si concentrano in due grandi poli di produzione Puglia e Sicilia che rappresentano più del 90% della superficie agricola dedicata a questa coltura e che insieme consolidano poco meno di un milione di tonnellate (600mila la prima, circa 370mila la seconda). Le altre regioni italiane non incidono significativamente sul totale della produzione.

L’uva da tavola italiana è promossa - Ultima modifica: 2016-09-22T11:38:16+02:00 da Sandra Osti

2 Commenti

    • Ai fini dell’esercizio della prelazione agraria, la definizione di coltivatore diretto è contenuta nell’articolo 31 della legge n. 590 del 1965 a norma del quale è coltivatore diretto chi si dedica in modo abituale e diretto alla coltivazione del fondo ed all’allevamento del bestiame a condizione che la forza lavoro propria e della propria famiglia sia pari ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e dell’allevamento.
      In base alla suddetta definizione, occorre, pertanto, che il coltivatore diretto, coadiuvato dalla famiglia, sia personalmente e concretamente impegnato nell’attività di coltivazione del fondo, dedicandovi una forza lavoro pari ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo stesso e dell’allevamento; è necessario, inoltre, che tale attività di coltivazione sia svolta in modo abituale, cioè con continuità e stabilità e non in modo sporadico o per hobby, anche se non in maniera professionale.
      Per poter esercitare la prelazione agraria, il soggetto interessato deve, quindi, dimostrare di essere in possesso della qualità di coltivatore diretto secondo la definizione sopra evidenziata.
      A questo riguardo la giurisprudenza ha ritenuto che “la prova della qualità di coltivatore diretto, ai fini del riconoscimento del diritto di prelazione, deve essere fornita in concreto: ciò che rileva non è il dato formale della iscrizione in elenchi o altre certificazioni amministrative, bensì l’effettivo esercizio dell’attività agricola con lavoro prevalentemente proprio e della propria famiglia” (Cass. Civ., 20 gennaio 2006, n. 1112).
      Ed ancora è stato ribadito che la qualità di coltivatore diretto “non può desumersi dall’iscrizione negli elenchi di coltivatori diretti del Servizio contributi agricoli unificati (SCAU), atteso che detta certificazione rilasciata a fini essenzialmente assistenziali è idonea soltanto a fornire elementi indiziari in proposito, essendo ricollegabile ad una mera condizione professionale e non all’accertamento dell’attività di coltivatore diretto svolta su un determinato fondo” (Cass. Civ., 22 gennaio 2001, n. 8595).
      Viceversa l’accertamento della qualità di coltivatore diretto è demandato al discrezionale apprezzamento del giudice.
      Conseguentemente, allo scopo di esercitare la prelazione agraria, il soggetto interessato, dopo che gli è stata notificata la proposta di vendita da parte del proprietario del terreno in vendita, deve provare di svolgere l’attività agricola in concreto e in maniera abituale, col lavoro prevalentemente proprio e della propria famiglia, mentre non assume alcuna rilevanza, ai fini della dimostrazione della qualità di coltivatore diretto, che lo stesso sia iscritto o meno nella gestione previdenziale di coltivatori diretti.
      Nel caso della prelazione da parte dell’affittuario coltivatore diretto, è controversia la questione se il diritto in questione deve considerarsi competere alla famiglia coltivatrice (e quindi anche ai singoli componenti) che è titolare del rapporto di affitto o se, viceversa, spetti solamente a “chi assume una posizione maggiormente qualificata, per la sua posizione nell’ambito della impresa e della famiglia” (Casarotto Giangiorgio).
      Secondo la dottrina, anche nel caso dell’impresa familiare, titolare del diritto di prelazione è “il solo titolare della impresa e non già anche i familiari collaboratori, poiché a questi ultimi manca la stessa qualità di coltivatore diretto, richiesta dall’articolo 8 della legge n. 590 del 1965 e che l’articolo 31” della stessa legge n. 590 “attribuisce al solo titolare della impresa e non anche ai componenti del nucleo familiare”.
      Nell’altra ipotesi della prelazione da parte del proprietario coltivatore diretto confinante, non vi sono dubbi sul fatto che la prelazione agraria spetti unicamente al proprietario del fondo (e non anche ai suoi collaboratori) contiguo con quello messo in vendita a condizione che rivesta la qualità di coltivatore diretto nei termini sopra descritti, in quanto la prelazione del confinante prescinde dalla esistenza di un contratto agrario.
      In conclusione l’iscrizione nella gestione previdenziale di coltivatori diretti in qualità di coadiuvante non assume alcuna rilevanza ai fini della dimostrazione della qualità di coltivatore diretto necessaria per l’esercizio della prelazione agraria, dovendo, al contrario, il soggetto interessato provare di coltivare personalmente il terreno confinante con quello in vendita o risultare affittuario del terreno da vendere.
      Quando il lettore-coadiuvante andrà a costituire una società agricola, potrà essere qualificato come “nuovo agricoltore” ai sensi dell’art. 30 del Reg. UE 1307/2013 relativo ai pagamenti diretti. Infatti la definizione di “nuovo agricoltore” è la seguente:
      – che ha iniziato la loro attività agricola nell’anno civile 2013 o in qualsiasi anno successivo;
      – che presenta domanda di pagamento di base non oltre due anni dopo l’anno civile nel quale hanno iniziato a esercitare l’attività agricola;
      – che, nel corso dei cinque anni precedenti l’inizio dell’attività agricola, non ha praticato in nome e per conto proprio alcuna attività agricola, né ha esercitato il controllo su una persona giuridica dedita ad un’attività agricola.
      La verifica dell’inizio dell’attività agricola è effettuata secondo i seguenti criteri:
      a. la data di apertura della p.iva o, nel caso di partita iva già presente ma attiva in un ambito diverso da quello agricolo, la data di estensione dell’attività al regime agricolo;
      b) l’iscrizione all’Inps come coltivatori diretti, imprenditori agricoli professionali, coloni o mezzadri.

      Angelo Frascarelli

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